Ho deciso di partecipare ai cantieri della solidarietà in Casa Suraya per mettermi in gioco e smuovermi dalla staticità che mi ha accompagnato negli scorsi due anni. Sono partito con tanta, ma tanta paura: cosa e chi avrei trovato dall’altra parte, dove tutto era nuovo e tutti erano sconosciuti?

Sono molto ignorante sull’aspetto sociopolitico dell’immigrazione e sulla gestione degli stranieri che vengono in Italia; fino all’inizio del cantiere, vivevo solo dei giudizi e pregiudizi che la gente ha a tal proposito, e che la maggior parte delle volte evito di sentire, perché non voglio essere condizionato negativamente. Ero totalmente ignorante, appunto.
Mi sono convinto che questa esperienza mi avrebbe fatto bene e mi sono buttato.

L’idea era quella di portare un po’ di gioia tra bambini, ragazzi e adulti, che consideravo totalmente uguali a me, perché essere più fortunato non vuol dire essere migliore. Ho iniziato questa esperienza senza pensare alla storia di ciascuno, come fossero tutte persone del mio oratorio, in un giorno qualunque di campus estivo.

Beh, a posteriori, un po’ mi sbagliavo. Ho scoperto che quei bambini, quei ragazzi e quegli adulti, non sono per niente uguali a me. Ognuno porta sulle sue spalle una storia; qualcuno porta un racconto devastante, qualcuno un passato “semplicemente” meno paralizzante. Eppure, sui loro volti, leggevo tanto amore e tanta bellezza, oltre al dolore.

Ho visto un bambino di sette anni chiedere del cibo per lui e portarlo al suo fratellino più piccolo; ho visto un ragazzo di 15 anni accompagnare i suoi fratelli con un Amore così raro e puro; ho visto bambini sorridere, sorridere sempre.
Ho visto bambini corrermi incontro, con uno sguardo di fiducia e ammirazione che io stesso, su di me, non ho e forse non avrò mai.
Ho visto piccoli atleti vincere contro di me ad una gara di corsa, ho visto piccoli danzatori e cantanti.
Ho visto litigi e il coraggio di chiedere scusa.
Ho visto la felicità negli occhi di un adolescente non accompagnato, che avrebbe conosciuto la sua famiglia affidataria pochi mesi dopo.
Ho visto l’affetto di ragazzi che ho incontrato solo tre o quattro volte, che, nonostante parlassero solo arabo, si ricordavano il mio nome.
Ho visto bambini usare espressioni da adulto solo perché le avevano sentite qualche minuto prima dai genitori.
Ho visto bimbi entusiasti nel fare i compiti.
Ho visto adolescenti stupite perché in 22 anni della mia vita, ho trovato dieci giorni per fare volontariato.
Ho capito che tutte queste persone non sono per niente uguali a me, perché sono molto di più, in tutto.

Vorrei uscire di casa e gridare al mondo che non ho incontrato né ladri, né delinquenti, ma persone migliori di me. Vorrei che nessuno di loro avesse dovuto passare tutto quello che ha passato. Vorrei che tutti fossimo in grado di volerci bene per quello che siamo realmente.

Ringrazio di cuore Farsi Prossimo e tutte le realtà che gestisce, perché offre a queste persone l’occasione per essere migliori, per rialzarsi e ricominciare una storia che sembrava non aver diritto ad un lieto fine. Ringrazio lo staff che ho incontrato, persone d’oro e di cuore.

Ora sono a casa nel caos quotidiano, e un po’ mi si spezza il cuore, perché pian piano metabolizzo quello che ho vissuto, e mi porto sulle spalle anche solo un briciolo di quelle vite e di quelle storie dolorose di cui neanche conosco i dettagli.
A volte mi chiedo: “e se fossi stato io al loro posto? Se un giorno fossi stato costretto a lasciare tutto e andare via per un motivo che neanche conoscevo? Se un giorno mi fossi trovato a parlare e vivere con persone che non conoscono niente della mia lingua e della mia cultura?”

Sono fortunato: non sono migliore, o più bravo, o più qualsiasi altra cosa: sono solo fortunato.
Ho lasciato un pezzo grande di cuore a Casa Suraya e in tutte le comunità che ho avuto l’onore e il privilegio di incontrare. E di questo non posso che essere felice.
#MmiiCheEstate!

Andrea