Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
[…] Soprattutto, però, non affrettare il viaggio
fa che duri a lungo, per anni.
[…] Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo in viaggio: che cos’altro ti aspetti?
(Itaca, Konstantinos Kavafis – 1911)

Era l’ultimo giorno di Cantiere, quando tra le mani abbiamo ricevuto un pezzo di carta con questa poesia.

Da quel momento mi è bastato così poco per capire che avevo appena compiuto un viaggio bellissimo, avevo attraversato un’Itaca mai vista prima, nuova, fatta di storie, volti e nomi (alcuni un po’ strani). Un viaggio che forse attendevo da tempo, che risvegliasse in me proprio quell’ultima domanda: ed ora che cos’altro ti aspetti?

Ci potrebbero essere mille modi per rispondere, ma io non aspetto altro che dire Grazie!

Shukran è l’unica parola in arabo che sono riuscita a memorizzare, oltre a qualche numero da uno a dieci; è la parola che abbiamo ripetuto più e più volte, ma forse mai abbastanza; è quella parola che dal primo all’ultimo giorno di Cantiere esclamavamo meravigliati di fronte ad ogni sorriso, ogni piedino sporco di tempera, ogni ghiacciolo offerto, ogni racconto, ogni sguardo sopra la mascherina, ogni girotondo, ogni confidenza, ogni stretta di mano, ogni musica pakistana ballata schiacciandoci i piedi, ogni parola in urdu ripetuta più e più volte e alcune mai capite, ogni selfie dalle facce buffe, ogni saluto da lontano, ogni abbraccio morbido e profumato tra le braccia dei bimbi, di giovani, donne e anziani.

Shukran è per ogni vita incontrata, per ogni sogno percepito, per la leggerezza respirata, per l’accoglienza ricevuta.

È stato come viaggiare per il mondo, in un’Itaca non molto lontana da noi che vuole essere raccontata, ascoltata e incontrata.

Shukran è il nostro Grazie e non vedo l’ora di saper urlare in arabo anche “a presto!”.

Anna