di Manuela di Matteo, educatrice del Centro Diurno Chora

Ho lavorato presso il centro Chora per quasi 5 anni e posso dire che questa esperienza si è rivelata per me molto significativa, sia da un punto di vista professionale che anche e soprattutto da un punto di vista umano e delle relazioni. In particolare è questo secondo aspetto che mi piacerebbe raccontare.
Chora è stato per me, prima di tutto, un luogo di legami: tra colleghi, tra i ragazzi e tra loro e noi educatori.
Penso che i ragazzi che hanno vissuto questa esperienza abbiano avuto la grande opportunità di sperimentare relazioni e legami differenti e far crescere in loro un senso di appartenenza. E’ stato emozionante veder tornare alcuni di loro a percorso concluso, con la voglia di raccontarci un risultato raggiunto, come essersi diplomati o aver trovato un lavoro o semplicemente per farci un saluto.
La sensazione che i ragazzi percepissero Chora come “casa” a volte era molto forte. Ad esempio capitava che qualcuno si presentasse al centro o chiedesse di venire anche in giorni diversi da quelli previsti; per essere aiutati nei compiti, per l’entusiasmo di raccontarci cosa fosse successo all’oratorio estivo o per non rimanere da soli…

La cucina come luogo prediletto dei ragazzi (e anche degli educatori!) dove intrattenersi è un altro esempio: ricordo infatti l’ostinazione dei ragazzi nel ritrovarsi in cucina, nonostante disponessimo di un ampio salone. L’atmosfera familiare che si veniva a creare era palpabile. Se quella cucina potesse parlare, avrebbe moltissimo da raccontare… i colloqui più significativi e intensi con alcuni ragazzi, credo di averli fatti in cucina!

Io stessa in questi anni mi sono sentita profondamente a casa nel muovermi in questo luogo: andare su e giù per le scale, affacciarsi alla finestra per vedere chi aveva citofonato, le nostre equipe estive sul terrazzo…i rimproveri della volontaria che lavorava nella cucina del piano di sotto perché qualche ragazzo ne aveva combinata una… e poi però l’entusiasmo e l’amorevolezza nel mostrare ai ragazzi come fare i biscotti durante un laboratorio. I divani in cui sprofondare per nascondersi un po’ dagli sguardi o invece per fare due chiacchiere e accoccolarsi, cercando la vicinanza di un compagno o di un educatore. I mille caffè condivisi tra colleghi e ad un certo punto anche con qualcuno dei ragazzi, che per loro voleva dire essere entrati a far parte dei “grandi”.
E poi le risate, quante risate, ma anche le arrabbiature, i pianti… i moltissimi cambiamenti che hanno coinvolto l’equipe e il servizio… i tantissimi ragazzi che abbiamo visto attraversare questo luogo, alcuni per pochi mesi, qualcuno per anni… e ognuno con la propria storia, a volte troppo pesante da trasportare.

Chora, poi, è stato per i ragazzi l’occasione di fare esperienze di apprendimento attraverso i tanti laboratori attivati, in cui poter acquisire competenze, (ri)scoprire risorse, attraverso il gruppo, e scoprirsi parte di un gruppo, anche imparando a gestire gli inevitabili conflitti.
Credo che l’opportunità più importante che i ragazzi e le loro famiglie hanno avuto attraverso Chora sia stata quella di poter uscire dall’isolamento (delle loro fatiche, dei loro problemi, degli stalli) e sperimentare una relazione di “cura”. Una presa in carico il cui ingaggio, però, è molto forte e per alcuni versi molto sfidante e che, inevitabilmente, produce anche delle resistenze.

Il centro diurno è giocato tutto sul delicato equilibrio: da un lato un mandato forte, in cui, a seguito dell’individuazione di un problema, una mancanza o una fragilità, che riguarda in molti casi anche il ruolo genitoriale, viene richiesto al minore di frequentare il centro e in cui la percezione del dovere è molto alta. Dall’altra parte, l’opportunità di fare un’esperienza di crescita e di cambiamento a partire dal riconoscere e dal farsi carico dei propri bisogni e anche delle proprie difficoltà.
La grande sfida perciò è quella di poter condividere e costruire insieme ai ragazzi e alle loro famiglie un’esperienza di senso e di crescita, che vada al di là del solo “obbligo” di frequentare il centro, anche perché in questo caso è molto probabile che il percorso non avrà seguito.

In quest’ottica è fondamentale ed imprescindibile la costruzione di una rete che lavori a supporto e in questa direzione, in cui tutti gli attori presenti siano e si riconoscano partecipi, responsabili e coinvolti all’interno del percorso di accompagnamento dei ragazzi e delle loro famiglie verso un cambiamento, e che possa scongiurare la possibilità di un allontanamento del minore dalla famiglia o una deriva nel penale.
Questa è la grande sfida secondo me, il grande onore e onere a cui siamo stati chiamati lavorando all’interno di questo progetto.

Ad un livello più “politico”, se queste reti funzionano, vuol dire, a parer mio, far conoscere a ragazzi e famiglie le istituzioni (Comune, Scuola, Sanità) non come entità astratte, ma come realtà più vicine alla propria esperienza di vita, in cui avere fiducia, per poter vivere all’interno della società in modo più civile e finalmente sentirsi parte.
Sento forte dentro di me la gratitudine di aver potuto lavorare in questa direzione con i miei colleghi, con i quali sento di aver condiviso questa grande avventura che è stata il Centro Chora. Gruppo in cui ho potuto sentirmi riconosciuta, apprezzata, valorizzata, con cui sento di aver condiviso la stessa profonda motivazione e lo stesso intento nel lavorare con i ragazzi e con le loro famiglie e che ha creduto fortemente nel valore delle relazioni e dei legami.
Grazie a tutti, per questo pezzo di vita condiviso.