di Fabio Moretto, coordinatore del Centro Diurno Chora
Una mattinata di lavoro come molte altre. Stavo percorrendo una via di Milano, per recarmi ad una delle numerose riunioni alle quali mi capita di partecipare. Improvvisamente la mia attenzione è stata catturata da una sensazione particolare. Una commistione tra un odore sgradevole, che dava di muffa, e la percezione di una temperatura particolarmente fredda e umida che infastidiva l’insolito tepore di un gennaio troppo caldo. Una cantina di una casa di campagna nel bel mezzo del traffico urbano?
No. Ero stato travolto da una strana corrente d’aria, fuoriuscita dall’antro dell’ingresso di un cinema in disuso. Il mio passo ha rallentato quasi fino a fermarsi. Un’inferriata arrugginita, di quelle che scorrono longitudinalmente a “fisarmonica”, impediva l’ingresso ad un’area piastrellata, cosparsa di lattine vuote, volantini scoloriti, fazzoletti, polvere e ragnatele. I vetri ormai opachi celavano il bancone all’ingresso e la biglietteria, con ancora alcuni oggetti depositati in maniera sparsa: portapenne, scatolette, qualche flacone di sostanze non ben identificabili. Affissa al bancone una locandina a penzoloni, ingiallita e ripiegata su sé stessa, sostenuta in un solo angolo da una puntina che evidentemente si ostinava a svolgere il suo lavoro. Sullo sfondo un tendone rosso sdrucito ai bordi, più pesante nella sua rappresentazione mentale che nella sua massa di tessuto divorata dalle tarme.
Quasi autonomamente il mio passo ha ripreso ad accelerare, per lasciarsi alle spalle quel senso di desolazione incombente. Perché i luoghi in disuso mi hanno sempre reso molto malinconico. Suscitano una certa curiosità, se ci si azzarda a cercare tra gli indizi qualcosa di inedito da scoprire, ma questa è subito soverchiata da un enorme senso di vuoto “cosmico”. Come se l’inesorabilità del tempo si fosse impossessata di qualcosa che era vivo e pulsante lasciandolo concretamente visibile, ma privato del suo ruolo nel mondo. Eppure gli oggetti in disuso sembrano avere un proprio valore inestimabile proprio in ciò che hanno rappresentato, più che in ciò che sono. Contengono i segreti del tempo, le storie del passato, le vite di chi li ha utilizzati. O almeno mi piace pensare così.
Quante persone ha visto accalcarsi alla ricerca di un biglietto quel bancone? Quanti popcorn nascosti in angoli irraggiungibili hanno conosciuto quei sedili di velluto? E la sala di proiezione? Quanti ragazzini chiassosi ha visto rimproverare da anziani indispettiti dal fatto che “una volta non ci si comportava così”?
Poi, improvvisa, nella mente, ancora quella puntina sola che regge il volantino. Proprio non si arrende.
Cammino. Insieme al mio passo ripartono i pensieri. Qualche mio collega parlerebbe di libere associazioni. Porta serrata, cinema in disuso, struttura chiusa, chiusura, segreti negli oggetti….Chora!!!
Il Centro Diurno Minori Chora della Cooperativa Farsi Prossimo. Chiuso!
Eccoci. Riparte la lunga sequela di immagini e oggetti. Scrivanie, sedie, ping pong, PlayStation. Da quando ha chiuso? Poco tempo fa, a fine anno 2022. Ma nella mente è già tutto desolato e desolante.
Eppure è andata così.
Perché è bello occuparsi dei minori, o forse è semplicemente giusto, o necessario. Ma se metti a disposizione una struttura diventa anche oneroso. Perché nemmeno la solidarietà può sfuggire alle regole ferree della vita reale: luce, gas, normative, certificazioni, carte bollate, gel e mascherine. Chora non ha più “passato” l’esame di realtà. Conti in rosso, si resiste, ci si affanna, si taglia si riduce si lima… Poi si chiude. Tutto cristallizzato in un appartamento polveroso con le tapparelle chiuse. Il silenzio si impossessa del ping pong che sembra implorare una racchettata sui suoi bordi per sentirsi ancora utile. Sospese le storie delle famiglie, i problemi dei ragazzi, il gioco e le lacrime, le riunioni con gli assistenti sociali. Laddove pulsava l’energia di uno dei pochi presìdi ancora utili agli adolescenti, dove mangiavano, svolgevano i compiti, facevano sport e gite, a volte dormivano sul divano al riparo da momenti complessi, ora regna il silenzio. L’odore che esce dall’antro del cinema. Il cerchio si chiude. Un po’ anche attorno alla mia gola per un attimo.
Cammino. La puntina tiene ancora. Di nuovo il sole e il calore. Insolito, preoccupante a gennaio, ma piacevole. Vado verso la riunione. Parleremo di adolescenti. Altri progetti, altri servizi. Anche questi in fatica economica. Come finiranno? Come Chora? E Chora è davvero finito? La puntina tiene ancora. Cammino più veloce. Non sono in ritardo. Ma lo stesso, cammino più veloce. Proviamoci! Riprendiamoci il ping pong, le sedie, le storie, la gioia, i ragazzi, i problemi. Pensiamoci. Riapriamo Chora. Che diamine!
Siamo o non siamo puntine ostinate?