Ho conosciuto Zora nell’agosto 2022, una donna sola con quattro figli, tra cui uno con disabilità, semi-analfabeta, disoccupata, vittima di violenza da parte di un marito ora lontano, due occhi brillanti come gli orecchini dorati di cui si adorna e il fisico snello e minuto di una rondine, capace di fatiche intercontinentali con ossa leggere piene di vento.

Cosa ci si può cavare, dove può andare?
Potremmo rimanere ancorati a un racconto improntato sulla carenza e avremmo la proiezione di una famiglia allo sbando. Potremmo sgranare il rosario del disagio e dell’emarginazione, ci darebbe informazioni parziali e non ci porterebbe alla vera essenza di Zora, dei suoi figli, della loro storia. Prenderemmo una scorciatoia grossolana e inconsistente che restituirebbe uno scenario sbiadito come i tatuaggi che scavano il corpo della Signora.
E non entreremmo mai nel cerchio magico di chi ha vissuto in una carovana e ha saccheggiato, fino allo stremo, per una vita intera, il bottino della propria resilienza, eleggendo il saper fare, l’arte di arrangiarsi, di orientarsi, di risolvere i problemi, di entrare in relazione a strategia privilegiata di adattamento.

Raccolto il mandato di indirizzarla dal campo tollerato di Vaiano Valle verso il COT – Centro Ospitalità Temporanea di Via Novara, da subito ci scontriamo con la sua testardaggine resistente: Zora non vuole saperne di entrare in un centro, desidera una casa, nei pressi di un quartiere a lei familiare, vicina alla scuola frequentata dai ragazzi. Piano piano, incontro dopo incontro, telefonata dopo telefonata, strappiamo un accordo: la Signora viene a vedere il centro. Dopo pochi passi tra i moduli abitativi indipendenti incrocia una conoscente, scambiano parole e sigarette. Ed è lì, che ho visto, ho conosciuto Zora: una donna capace di allacciare rapporti fertili e di mantenerli vivi, di entrare in sintonia su un piano paritario quasi con chiunque. Il suo è un terreno pragmatico, fatto di cose concrete in cui immette cura e dedizione: sembra che abbia risposto alla complessità della propria condizione con una complessità adatta a sé, ovvero quella di tessere rapporti. Torniamo al COT una seconda volta, gira un video con il cellulare per mostrare ai figli il contesto e infine si convince.

Dopo circa 5 mesi emerge l’opportunità di entrare in una struttura di semi-autonomia, all’interno della quale ritrovare le dimensioni dell’intimità e della riservatezza familiare con un supporto educativo. Il pomeriggio fissato per l’ingresso nel nuovo appartamento ricevo un avviso da parte del COT: arriveranno in ritardo, a causa di una interminabile discussione con Zora attorno agli oggetti da traslocare.
Spero che i colleghi non mi vedano sorridere sotto la sciarpa di lana mentre tra me e me penso: “questa è Zora.”

Non so se l’Universo naturale sia ancora fermo alla matematica, ma sicuramente l’universo di Zora è scritto nell’alfabeto della relazione.
Attraverso questa lente, la bassa scolarizzazione e la precarietà cedono il passo alla vitalità traboccante di una donna dai vestiti sgargianti e dalle unghie laccate, disposta a tutto per il bene dei figli.

FOTO: Andrea Lavaria