Sono arrivati a Casa Suraya poco prima di Natale, nel 2019: mamma, papà e due figli. Anzi, tre. Solo che uno, il più grande, non era riuscito a fuggire con loro ed era rimasto in patria. Una famiglia discreta, pacata, silenziosa… tutti, tranne il piccolo Ibrahim, che ancora prima di imparare le sue prime parole di italiano è già impegnato a cercare di chiacchierare con tutti. E quando finalmente inizia a farsi capire, non passa giorno senza che lui non arrivi a riempire di entusiasmo e allegria l’aria dell’ufficio, con la sua voce da bimbo che a volte sembra profonda come quella di un adulto.

Trascorrono due anni, in cui si frequentano corsi di italiano, nonostante il Covid, si effettuano colloqui di supporto psicologico per affrontare incubi, insonnia e tachicardia.

La mamma, silenziosa e determinata, impara l’italiano online con una volontaria, chiacchierando di ricette e di cucina e leggendo Calvino, perché è il primo libro che le è capitato di trovare.
Il papà non perde occasione per dare una mano al centro, come può.
E il figlio Emin studia, il suo italiano migliora sempre di più e riesce ad accedere a una borsa lavoro e poi a un tirocinio. Non è esattamente il lavoro dei suoi sogni, ma lui non molla, perché sa che ogni passo lo avvicina ad altre opportunità per il suo futuro.

Il piccolo Ibrahim inizia la scuola elementare, carico del suo solito entusiasmo, Emin inizia un nuovo lavoro e la famiglia ottiene lo status di rifugiato. Ma i cuori continuano ad essere schiacciati dall’angoscia per chi è rimasto in pericolo di vita.

È il 19 febbraio 2022, quando il figlio maggiore Samir arriva in Italia. È il giorno dell’abbraccio, del cuore che finalmente può permettersi di sentirsi leggero, sciogliendosi in un pianto liberatorio e in una gioia attesa per più di due anni: la famiglia è tornata ad essere unita, in salvo, pronta per affrontare un futuro di pace, carico di speranze e progetti.

FOTO: Andrea Lavaria