Nataliia è la nostra babushka, la nonna di Casa Monluè.
Ha 76 anni e due occhietti vispi. Ha lasciato tutto quello che aveva sotto le bombe russe che hanno devastato la sua terra, ma ti sorride sempre. Ama le piante e le cura con amore. Le piace che siano in ordine. Le piace che luccichino, e che siano pulite.
Dopo qualche settimana di accoglienza ci ha chiesto se poteva occuparsi dell’orto. Le abbiamo comprato un po’ di piantine e di semi e si è messa subito al lavoro con degli stivaloni ai piedi e la schiena china su pomodori, cetrioli e zucchine. A darle manforte un altro paio di anziani accolti nel centro. Anche loro profughi ucraini. Ma lei è stata la capa indiscussa dell’orto. Lo ha progettato. Ha distribuito le piante nei vari vasconi e ha scandito i tempi della semina, della cura e del raccolto. Il piccolo orto di Casa Monluè ha così potuto prendere nuova vita anche in questo anno di grandi cambiamenti e ha assunto un nuovo aspetto. La creatività africana degli anni precedenti ha lasciato spazio al rigore geometrico della babushka ucraina e anche i girasoli sono tornati a portare nuova luce al parco della casa, inchinandosi al sole, ben allineati.

Quando incontri Nataliia in giro per la casa ti parla rigorosamente in ucraino, ma succede sempre qualcosa di magico e, in un modo o nell’altro, ci si capisce sempre. I gesti, gli abbracci e i sorrisi travalicano le barriere linguistiche, culturali e anagrafiche.

Nataliia dice di stare bene in Casa Monluè, e anche sua figlia ci sta bene, ma le piacerebbe tornare a casa. Anzi, spera che la guerra possa finire in fretta, così potrà tornare in Ucraina per provare a realizzare il suo sogno: piantare 1000 rose, un immenso roseto di pace.

FOTO: Andrea Lavaria