Liudmyla è arrivata in Italia subito dopo lo scoppio della guerra.
Si è presentata al centro di accoglienza già con una storia di sofferenza psichica alle spalle: un primo ricovero in Ucraina al quale ne sono seguiti altri una volta giunta in Italia.
Liudmyla è una giovane donna gentile e tenace, ma a volte sembra non riuscire a guardarti negli occhi, a sostenere lo sguardo delle altre persone. Come se quello sguardo mettesse a nudo le sue fragilità e la facesse sentire sempre nel posto sbagliato.
La si incontra spesso seduta al suo posto in sala da pranzo, intenta a scrivere sulle tovagliette di carta che apparecchiano i tavoli. Scrive frasi gentili per noi operatori e disegna fiori, cuori e farfalle, come se volesse abbellire quel mondo nero in cui spesso la sua mente sprofonda.
Liudmyla è molto intelligente, ha imparato in fretta l’italiano e lo parla molto bene, ma fa fatica a controllare le sue emozioni. Come quella volta che ha ingerito qualche farmaco di troppo, o quando, in un momento di rabbia, ha distrutto il suo passaporto, l’unico documento in suo possesso. A questi momenti difficili sono seguiti lunghi colloqui per convincerla a proseguire le cure e gli accompagnamenti mensili al Centro Psico Sociale di zona per un supporto specialistico.
Liudmyla sogna una vita migliore: vorrebbe trovare un lavoro, avere una casa e una famiglia. Sogna una vita normale. Vorrebbe che gli altri non si accorgessero delle sue fatiche e vorrebbe non dover dipendere dagli psicofarmaci per stare bene.
Liudmyla sa che le sue medicine sono custodite gelosamente in un armadio in ufficio e che ogni giorno deve chiederle agli operatori. Alcuni giorni entra felice in ufficio e, con la scusa delle medicine, intavola con noi grandi discorsi sulla sua vita e sul suo futuro. Altri giorni invece per lei sono più grigi, più difficili, e le pesa molto dover venire a chiedere i farmaci.
Così abbiamo trovato con lei un compromesso: sul suo angolo di tavolo, in sala da pranzo, abbiamo messo un barattolo vuoto della marmellata ricoperto di carta colorata e, se non la vediamo entrare in ufficio, le lasciamo dentro al barattolo la sua dose giornaliera di farmaci.
Ora Liudmyla è più serena, sa che se ha voglia di parlare e di sorridere mentre prende i farmaci noi la aspettiamo in ufficio, ma se invece non ha voglia di vedere nessuno c’è sempre il suo barattolo.
Anche per noi questa è una grande lezione: ci insegna a entrare in punta di piedi nelle vite degli altri, soprattutto in quelle ferite. Ci insegna che i tempi della relazione non li possiamo decidere noi. Ci insegna che a volte bisogna fare un passo indietro per lasciare all’altro la possibilità di fare un passo in avanti.
Ogni volta che entriamo in sala da pranzo lo vediamo: un barattolo vuoto sul tavolo di Liudmyla.
Su quello stesso tavolo dove lei continua a disegnare fiori, cuori e farfalle.
Nonostante tutto.