Lo stereotipo delle assistenti sociali che portano via i bambini stava lì, tra me e Veronica, fin da quando l’avevo incontrata la prima volta nell’Ufficio dei Servizi Sociali Territoriali del Municipio dove era residente.
Una situazione complicata, in carico ai Servizi da molto tempo. Colloquio dopo colloquio avevo imparato a conoscere Simona, 19 anni, figlia di Veronica. Avevo conosciuto la sua forza, le sue debolezze, le sue paure, la storia di quella gravidanza non esattamente aspettata e voluta. Era giovane, confusa, quasi intrappolata in una storia e in un percorso che non riusciva a sentire suoi, perché alle sue scelte era mancata la consapevolezza, perché a un certo punto, senza rendersene conto, si era ritrovata da sola a prendere decisioni più grandi di lei. E mentre la sua pancia cresceva aveva iniziato a volere bene a suo modo a Michael, il bimbo che cresceva dentro di lei.
Veronica era una donna fiera, coraggiosa, forte, aveva il volto segnato dalla fatica, che le dava più anni di quelli che realmente aveva, il corpo magro, nervoso, le mani ruvide di chi non ha avuto sconti dalla vita. Lei stessa aveva cresciuto Simona da sola: aveva sempre trovato il modo di lavorare per non farle mancare niente, aveva insistito perché andasse a scuola dopo le medie, che si impegnasse a prendere il diploma, perché doveva trovare un buon lavoro.
Anche lei si era trovata all’improvviso intrappolata in una storia e in un percorso che non riusciva a sentire suoi, non doveva diventare nonna così presto, non così.
Erano stati mesi veramente complicati, nel tentativo di capire quale potesse essere il progetto più adatto a sostenere Simona e il piccolo Michael che stava per nascere. E alla fine era arrivata la decisione. Non facile. Ma sapevamo che sarebbe stata la cosa migliore per quella giovane mamma e per il suo bimbo.
Qualche giorno dopo il parto, Simona e Michael sono stati collocati in una comunità per mamme e bambini.
Ora Veronica è seduta di fronte a me in ufficio.
Ha chiesto di poter avere un colloquio, dopo la decisione del Pronto Intervento Minori. Le parole escono come un fiume in piena dalla sua bocca, così come le lacrime che scivolano veloci lungo le sue guance. Rovescia sul tavolo che ci separa tutta la sua rabbia, contro i Servizi Sociali che hanno preso quella decisione, tutta la frustrazione e il senso di impotenza, perché lei, mamma, non può in quel momento essere di aiuto a sua figlia, diventata anche lei mamma.
Mi guarda con i suoi occhi fieri, tristi, stanchi, mentre piange.
Io ascolto le sue parole e i suoi silenzi.
Entrambe sappiamo che in cuor suo sa che non ci sarebbe stata un’opportunità migliore di quella, per Simona e Michael. È la strada giusta. Ma è terribilmente difficile da accettare.
Quando si alza per uscire dalla stanza, tra le lacrime, si avvicina per un attimo, quasi a mimare il gesto di mettere le mani al collo a me.
Con la rabbia e con l’affetto di una madre che consegna a noi il progetto della figlia e del nipote.
Foto di Tiberio Mavrici