Com’è la domiciliarità ai tempi del coronavirus?
E’ difficile rispondere a questa domanda, la risposta dipende in parte dal singolo operatore e da ogni famiglia.
All’inizio la scelta da condividere con il Servizio Sociale e il coordinatore era se fosse più opportuno proseguire il lavoro a domicilio, o se fosse meglio continuarlo da remoto o interromperlo. In realtà questa scelta iniziale si è rivelata una presenza costante nel lavoro, richiede infatti di essere rinnovata tutti i giorni.
Tante volte sorge la domanda sulle priorità: “La priorità è tutelare il più possibile la salute fisica o portare avanti il progetto educativo, per tutelare anche il benessere psicologico e relazionale della famiglia?”. Non sempre sembra possibile perseguire completamente entrambi gli obiettivi. E allora? La risposta è sempre quella, la ricerca di un equilibrio, ogni giorno, approfondendo la specifica situazione e rimanendo sempre in ascolto dei nuovi bisogni e sempre aperti al confronto e alla possibilità di dover cambiare tutto da un giorno all’altro.
“Gli interventi domiciliari da remoto”, un ossimoro? Letteralmente questa definizione sembra un ossimoro, ma approfondendo si scopre che non lo è. E’ invece un mondo, pieno di tante possibilità, che l’operatore e la famiglia scoprono insieme per la prima volta. Ci sono tante differenze dal lavoro domiciliare classico, ma la cornice dei principi, degli obiettivi e dei principali aspetti che guida l’operatore nel suo intervento rimane sempre quella.
E’ necessaria ancora più flessibilità, voglia, capacità e disponibilità a reinventarsi da parte sia dell’operatore sia della famiglia, ma se entrambi si mettono in gioco, come sempre, è possibile portare avanti comunque un importante lavoro, seppur con tutte le limitazioni dettate dalla nuova condizione. Tra lavoretti, giochi, letture e musica e compiti, tutto davanti al piccolo schermo del cellulare, con tanta pazienza perché a volte la tecnologia è imprevedibile, si porta avanti il progetto. Dopo un po’ si scopre che è possibile giocare anche al mimo delle emozioni, solo con espressioni facciali e voci, ma si può comunque imparare e ridere insieme. Si scopre che ci si può truccare, sfruttando il video come specchio, per viaggiare e scoprire un nuovo mondo, rimanendo seduti a casa. Avvicinando il volto allo schermo del cellulare ci si può confidare cose più intime e delicate.
Non è semplice e non sempre è possibile, ma è un lavoro anche questo interessante e importante. C’è anche l’imbarazzo dell’operatore, perché questa volta non è solo lui che entra nella casa della famiglia, ma anche la famiglia entra un po’ a casa sua.
E’ anche dalle situazioni in cui questo è impossibile che si impara e si può dare tanto. Si impara a valutare quando si può essere d’aiuto ad una famiglia intervenendo, e quando invece si è più di supporto, facendo qualche passo indietro, ma comunque trovando una modalità per far sentire la propria presenza.
Tutto questo va inserito in un contesto più ampio, non bisogna dimenticare infatti che sia la famiglia, sia l’operatore, che prima di tutto è una persona, stanno vivendo una loro nuova quotidianità con vari problemi personali, non sempre facili da accettare e risolvere. Insomma tanti pensieri, tante riflessioni, tanti confronti, tanti cambiamenti, tanta confusione, tutto in continua evoluzione; ma ponendosi sempre in un atteggiamento di ascolto attivo, ogni operatore continua a cercare la migliore modalità per essere di supporto ad ogni famiglia, cercando di dare sempre un messaggio di consapevole speranza e stabilità in questo momento di burrasca.
E quindi un grande GRAZIE alle famiglie, al coordinatore, ai colleghi, a Cooperativa Farsi Prossimo e ai Servizi Sociali, perché se tutto questo continua ad essere possibile nel mio lavoro gran parte del merito è loro.

Riflessione a cura di Maria Cristina, educatrice della nostra equipe di educatori domiciliari.