di Laura Melli coordinatrice Centro SAI Via Stella 

La bicicletta corre veloce, sotto i pedali, sull’asfalto di Milano, le ruote che girano sicure e inarrestabili mi ricordano i mesi in cui ho lavorato come rider, la scatola per le consegne montata dietro alla sella, le attese e poi gli indirizzi, uno dopo l’altro, in giro per la città.

È stato un tempo strano, un tempo di passaggio, che mi ha accompagnato passo dopo passo a prendere il volo, a prendere le distanze dalla vita di prima, a diventare grande.

Sono arrivato in Italia dal Ghana che ero ancora minorenne. Quando ho compiuto 18 anni, nel 2018 sono stato trasferito presso il centro SAI di via Stella. Mi ricordo che mi sentivo piccolo, spaesato, confuso, non sapevo bene cosa fare della mia vita, quali decisioni prendere. Avevo appuntamenti regolari con dei dottori in un posto chiamato UONPIA, loro dicevano che ero fragile e vulnerabile, parole che a me non piacevano, anche se sapevo che parlare con quei dottori mi faceva stare meglio.

Al centro, invece, mi sono sentito bene fin da subito, mi piaceva stare con gli altri ragazzi ospiti, organizzare feste, ascoltare la musica. Mi sentivo a casa e sapevo che agli operatori potevo raccontare tutto, quello che mi capitava fuori, al lavoro, con gli amici, quello che postavo su Facebook; li cercavo spesso per chiacchierare, per fare domande, forse a volte erano sempre le stesse, ma sentivo che avevo bisogno di ricordarmi le risposte ai miei dubbi, di condividere le incertezze.

Sono rimasto in via Stella quasi due anni, cercando di trovare il mio posto nel mondo, ma mi sembrava di collezionare un fallimento dietro l’altro. Mi avevano proposto una borsa lavoro in una tipografia, ma ho avuto un problema con il mio capo e ho mollato. Poi di nuovo una borsa lavoro in un birrificio, ma anche lì non riuscivo a stare, c’era qualcosa che non andava, e così ho chiesto agli operatori di poter interrompere il lavoro. Mi sentivo demoralizzato, incapace. Sentivo che intorno a me gli operatori continuavano a volermi bene, ma erano preoccupati. Mi hanno proposto di provare a cercare lavoro da solo, qualcosa di meno rigido, con meno costrizioni, senza le etichette di “fragile” e “vulnerabile” che accompagnavano i progetti di inserimento in cui avevo provato a stare, senza riuscirci.

E così ho iniziato a fare il rider, come tanti altri ragazzi… Ho sentito che era una scelta mia, che stavo provando a cavarmela da sola, e sapevo che gli operatori del centro e i dottori della UONPIA credevano in me e in questa possibilità, e questo mi ha dato ancora più forza e determinazione. E la mia vita ha iniziato a cambiare. Mi hanno proposto di andare a vivere in un appartamento di seconda accoglienza, qualche mese prima della fine del mio progetto in via Stella, ci ho pensato davvero tanto, volevo provarci, ma all’ultimo momento non me la sono sentita di lasciare la mia famiglia così presto… troppo presto. Ma poco dopo degli amici mi hanno offerto la possibilità di andare a stare da loro e io ho iniziato a parlarne con gli operatori: volevo sapere cosa ne pensavano, volevo essere sicuro che fossero d’accordo con la mia scelta, perché questa volta mi sembrava un’opportunità reale, possibile. Loro mi hanno sostenuto ancora una volta e mi hanno aiutato a trovare un lavoro più stabile, attraverso un’agenzia interinale.

Adesso abito in un appartamento con altri due ragazzi del Ghana, anche loro ex ospiti del centro di via Stella. Lavoro in una ditta di pulizie, ho finalmente un contratto a tempo determinato e spero che possano rinnovarlo presto a tempo indeterminato.

Oggi non pedalo più per Milano a fare una consegna dietro l’altra, ma mi piace attraversare la città in bicicletta e ricordarmi la strada percorsa, le persone incontrate, ricordarmi chi ero e guardare chi sono diventato, più sicuro, più responsabile. Oggi vado a salutare la famiglia che ho lasciato in via Stella, la famiglia che mi sono creato negli anni che ho trascorso lì, la famiglia che non avevo mai avuto prima. È stato difficile lasciarli, ma la vita è un viaggio e dobbiamo imparare a camminare da soli. Certamente porterò sempre con me la gratitudine per l’amore e l’ospitalità con cui sono stato accolto e accompagnato e il ricordo del tempo condiviso, i litigi, le discussioni, ma anche e soprattutto le risate. Perché questo fa di noi degli esseri umani, insieme, in questo mondo.

Ecco, sono arrivato al centro… “Ciao, mamma Laura! Sono passato a salutarvi…”

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