di Sabrina Colombo

Era tutto pronto: la lista degli invitati, il salone della cerimonia, l’henné. Poi il caos, il terrore, la fuga.
Evacuati su aerei militari a Roma, sono arrivati la notte del 10 settembre al Centro dove il loro viaggio si è incrociato con il nostro.

Nei giorni seguenti i diversi passaggi dell’avvio dell’accoglienza si sono susseguiti senza sosta: l’accesso in Questura per avere il primo permesso di soggiorno, la distribuzione di abbigliamento, la ricarica della tessera ATM, la visita medica e gli esami del sangue, l’inserimento al corso di italiano. Poi la relazione ha avuto lo spazio e il tempo per inserirsi tra la burocrazia e le procedure da seguire. Ed è arrivata la richiesta, quella di una giovane coppia di fidanzati di poter ufficializzare la loro unione celebrando un piccolo rito tradizionale afgano. La futura sposa, lontana dal suo meraviglioso abito nuziale, ne ha cucito uno nuovo utilizzando semplici pezzi di stoffa bianca arricchiti da un velo dorato. L’henné ricoperto da una foglia verde brillante ha dipinto le mani degli sposi, custodite in un tulle rosso, mentre i genitori, nascosti in patria e quotidianamente in pericolo di vita, assistevano commossi alla celebrazione con nel cuore il desiderio di infrangere lo schermo della videochiamata per abbracciare i propri figli. Al termine del rito parole di riconoscenza sono affiorate con emozione sulle labbra degli sposi che hanno ringraziato ospiti e operatori per l’opportunità di vivere questo importante momento, nella loro nuova comunità, in cui si condivide il dolore ma anche la gioia. Perché quel pomeriggio è stato la svolta che ha permesso loro di tornare a credere che un domani sia ancora possibile.

E tutti noi proviamo una sincera gratitudine nei loro confronti, per aver voluto condividere con noi un tratto importante del loro cammino, per averci accompagnato con delicatezza a conoscere le loro tradizioni e averci fatto sentire parte viva di un momento della storia drammatica di persone che, comunque, e nonostante tutto, continuano a credere nella vita.