di Sara Tesco. facilitatrice linguistica del Centro Interculturale Come

Ciao Sokahina,
ormai non ci vediamo da più di 10 anni e alcune volte mi domando dove tu sia, che tipo di donna tu sia diventata, se sia riuscita a realizzare i tuoi sogni, ma soprattutto se tu sia felice.

Ci siamo conosciute che eri una ragazzina di 13 anni spaesata, confusa. Arrabbiata per essere stata strappata dalla tua terra marocchina, dai tuoi amici, dalla tua nonna, dalla tua scuola che frequentavi con piacere e dai tuoi ottimi voti. Ma allo stesso tempo contenta di esserti nuovamente riunita alla tua mamma, in Italia a lavorare da anni, e con la quale condividevi lunghe telefonate serali.
Sei arrivata in Italia che conoscevi solo qualche parola: la mamma ti aveva insegnato alcune espressioni da “primo soccorso”, come: “Ho fame”, “Ho sete”, “Mi chiamo Sokahina”, “Bagno, per favore”. La lingua italiana, così tanto diversa da quella araba, ti spaventava, perché sapevi che non saresti mai riuscita a esprimere tutto quello che avresti voluto. Tu, un vulcano linguistico in Marocco, sempre pronta alla battuta spiritosa, ai suggerimenti da dare alle amiche, piena di iniziative da proporre. Sì, proprio tu, costretta a trasformarti in un lago piatto dalle acque calme, delimitate dagli argini che la non conoscenza di una lingua impone. Quel vulcano così attivo in Marocco, in Italia, è rimasto spento per diverso tempo. Tempo in cui hai osservato, hai assorbito e hai cercato di comprendere la nuova realtà che ti circondava.

Inserita in una classe terza, con un esame di licenza media all’orizzonte, hai trascorso i primi mesi a guardarti intorno, cercando di capire non tanto una lingua che aveva addirittura una scrittura diversa dalla tua, ma piuttosto le dinamiche curiose che si instauravano tra te e i tuoi compagni, tra i tuoi compagni e gli insegnanti e tra i tuoi compagni stessi. Ti sei accorta che anche il linguaggio corporeo che conoscevi non coincideva con quello dei tuoi coetanei italiani. Seduta al tuo posto, in silenzio, cercavi di captare qualche informazione da rielaborare tra te e te.
Era proprio così che ti vedevo tutte le volte che venivo a chiamarti in classe per condurti nelle mie lezioni di lingua italiana. Mi accoglievi con un gran sorriso e un gran sospiro di sollievo, che non dimenticherò mai. Aspettavi il nostro appuntamento settimanale come un bambino aspetta di aprire un regalo: così come un piccolo non sa cosa si nasconda dentro il pacchetto, tu non sapevi l’argomento che avremmo affrontato quel giorno, ma sapevi che ero lì per te. Sapevi che qualcuno ti avrebbe dedicato del tempo, che non ti avrebbe giudicata perché non ricordavi una parola o non avrebbe riso se avessi sbagliato una pronuncia. Qualcuno che avrebbe giocato con te, risposto ai tuoi dubbi, insegnato cose che tutto il resto della classe sapeva già ma che a te ancora mancavano. Durante i nostri incontri, da spettatrice quale eri in classe… nel laboratorio diventavi attrice: tutto ruotava intorno a te, perché non solo facevi parte di quello che stava succedendo, ma eri proprio tu a decidere cosa fare accadere. Nel corso del breve tempo trascorso insieme ti ho vista aprirti al mondo, diventare più sicura, superare le tue paure. Ti ho vista scambiare qualche battuta con i tuoi compagni, prendere parola per prima, chiedere spiegazioni ai tuoi insegnanti, decidere di farti interrogare per dimostrare che avevi studiato a casa. Man mano che acquisivi conoscenza della lingua italiana, cresceva in te la voglia di esporti e di raccontare a tutti chi fossi. Hai riscoperto quella Sokahina che avevi lasciato in Marocco ed è stato emozionante conoscere quella parte che tenevi nascosta.

Ci siamo conosciute che anche io, facilitatrice linguistica da poco tempo, ero una giovane donna che si affacciava a quella che sarebbe diventata la sua professione, e che cominciava a incontrare tutte le Lingue del Mondo, rimanendo a pochi km da casa. Sono passati tanti anni da allora, ma una cosa è certa: in 40 ore di laboratorio linguistico non ho la presunzione di averti insegnato la lingua italiana, ma sono convinta di averti regalato quel pizzico di coraggio che ti è servito per farti spiccare il volo. È questo l’obiettivo che mi pongo ancora oggi con i miei allievi, sia minori che adulti.
E come te, ho conosciuto così tanti altri bambini, ragazzi, donne, migranti… tutte persone che per diversi motivi sono arrivati in Italia e che sono stati costretti a ritrovare se stessi. Penso a te e a loro, al tempo trascorso insieme, alla fortuna di avervi incontrato e a tutto ciò che, senza saperlo, siete riusciti a insegnarmi. Il lavoro di facilitatrice linguistica non è così banale, come molti dicono. E una professione talmente arricchente, che si passa da insegnante di italiano… ad apprendente di vita.
Auguro a te e tutti miei allievi un futuro raggiante, pieno di incantevoli sorprese!

Maestra Sara