di Daria Carenzi, volontaria a Casa Suraya
In questa Quaresima dell’anno giubilare, l’Arcivescovo di Milano Mario Delpini insieme alla Fondazione Oratori Milanesi ha proposto agli adolescenti di incontrare realtà che testimoniano oggi le opere di misericordia.
Il 25 febbraio 2025 si meditava “Ero straniero e mi avete accolto” e l’invito consisteva in una visita a Casa Suraya, luogo di prima accoglienza per richiedenti asilo, soprattutto mamme con bambini, che sorge nella nostra parrocchia.
Gli operatori e i volontari di Casa Suraya hanno pensato a una scelta suggestiva e molto significativa per realizzare il gesto promosso dalla FOM.
La sera verso le 18,30 l’Arcivescovo e una trentina di giovani con i loro educatori si sono fermati per qualche minuto ai cancelli della Casa, patendo un po’ di freddo e ascoltando nella semioscurità le voci di Hassan, Milad e Ruben, che davano il loro benvenuto in arabo, farsi e tigrino. Impossibile non sentirsi spaesati, incerti, intimoriti, proprio come coloro che arrivano in un paese nuovo ed estraneo. I giovani hanno poi consegnato i cellulari, il senso di isolamento si è così certamente acuito. Poi, divisi in tre gruppi, sono entrati e hanno attraversato i corridoi del centro, per andare ad ascoltare alcune testimonianze.
Ad ogni tappa del viaggio hanno incontrato un ospite e un volontario di Casa Suraya.
Accanto a me Françoise, dalla Costa d’Avorio, cinque anni in Tunisia e da due qui a Casa Suraya. Fuggita da una situazione terribile di violenza familiare ha lasciato 5 figli al suo paese e oggi lavora in un albergo per poterli aiutare. Ha raccontato del viaggio in barca, della sua grande paura: “Ho avuto tanta paura, ho pregato Dio, pensavo sempre ai miei figli, ma ora qui sono tutti tanto buoni con me.” Françoise era emozionatissima, si è girata verso di me e ha sussurrato: “Vorrei dire una cosa grande e bella per Casa Suraya, ma adesso non riesco”.
La ‘cosa grande e bella’ che voleva dire Françoise era espressa da tutto ciò che in quel momento Casa Suraya dimostrava di essere: una comunità rispettosa, attenta, capace di esprimere un’accoglienza piena.
Il momento centrale è stato l’intervento dell’Arcivescovo che si è rivolto ai giovani, attentissimi, con parole dirette e molto efficaci:
“Vi ho invitato in questo luogo perché l’opera di misericordia dell’accoglienza è una delle questioni più serie e complicate, ma anche più necessarie in questo momento. […] Noi dobbiamo custodire lo sdegno, la capacità di dire no al mondo sbagliato”.
Poi l’invito positivo a non fermarsi al dolore e alla prova, ma a guardare alla capacità di resistere, alla voglia di vivere, al coraggio e all’impegno di quegli ospiti venuti da lontano. E infine l’invito ancor più decisivo rivolto a tutti, perché ognuno costruisca un frammento luminoso di speranza. Su un grande cartellone bianco appeso alle sue spalle monsignor Delpini ha scritto le tre parole fondamentali: il mondo è sbagliato – c’è un’invincibile voglia di vivere – ognuno può costruire un frammento di speranza – e ha invitato i ragazzi che lo desideravano ad aggiungere le ‘loro parole’. Qualcuno si è fermato subito a scrivere, qualcuno è andato a prendere un pezzetto di pizza al grande tavolo della cena comune multietnica ed è tornato deciso, qualcuno perplesso ha chiesto il parere dei compagni, ma pian piano il cartellone è stato riempito con le parole che ognuno si è portato nel cuore tornando alla propria casa.
Da diversi anni, insieme ad un piccolo gruppo di amici cristiani, ho la fortuna di poter condividere qualche momento della vita di Casa Suraya, tanti ordinari e quotidiani, alcuni fuori dal comune, come questo. Io ne sono sempre contenta, perché mi lascio invadere dalla presenza degli ospiti e soprattutto dalla serena capacità di accoglienza degli educatori. Quella che vedo vivere lì è una letizia vera, anche nei momenti difficili, e mi dispiace sempre venire via! ‘VIVERE’ mi sembra la parola che domina su tutto e la più giusta per chi arriva, tra mille fatiche, e prosegue qui il suo viaggio.
foto: Andrea Cherchi/chiesadimilano.it