di Angela Moscovio, vicecoordinatrice di Casa Nazareth

È stato tra il 2 e il 4 febbraio. Il CAG Poliedro ha lanciato una sfida: trovare un prodotto in grado di portare al CAG ragazzi e ragazze adolescenti, in un contesto come quello del quartiere di Villapizzone, dove la maggior parte della popolazione è di origine straniera.
A raccogliere la sfida sono state 4 squadre, composte da un coach, un designer e un gruppetto di dipendenti di aziende, lavoratori dei settori bancario, finanziario, moda, make-up…Tra loro c’ero anche io, insieme alla collega Sara. Che in effetti con il mondo aziendale non abbiamo proprio niente a che fare.

È successo tutto un po’ all’improvviso, mi ha chiamato Paolo, il mio responsabile e mi ha proposto di prendere parte a questa iniziativa dell’organizzazione francese Big Bloom a favore della cooperativa e in particolare del CAG Poliedro.
“Quindi io dovrei partecipare a questo… come hai detto che si chiama?”
“Hackathon”.
“Hacka… che?”
“Hackathon solidale… è una formazione che segue una metodologia particolare… ci sarà una sfida con una premiazione… saranno 3 giorni di full immersion…”.
“E quando sarebbe?”
“Domani”.
Un attimo di esitazione, e poi ho accettato, vinta dalla curiosità e attratta dal nome un po’ esotico e nel giro di un’ora ho trovato nella casella di posta 8 mail dall’organizzazione: il programma dettagliato, un powerpoint con la presentazione della metodologia, un link di accesso per ogni sessione dell’hackathon.

Dalla plenaria introduttiva su Zoom, mercoledì mattina, fino al momento di debriefing finale di venerdì pomeriggio è stata una vera maratona: abbiamo ascoltato la sfida, intervistato i testimoni, costruito da zero una proposta progettuale con tanto di budget dettagliato, preventivi di spesa, contatti con fornitori e collaboratori. L’ultimo giorno le proposte progettuali dei 4 team sono state valutate da una commissione di giurati, che hanno scelto il prodotto più adatto a rispondere alla sfida lanciata dal CAG.

Sono stati 3 giorni davvero intensi! Non posso negare di aver vissuto attimi di panico, per esempio quando ci hanno chiesto di liberare completamente le agende per dedicare tutto il nostro tempo all’hackathon… o momenti di spaesamento, quando all’inizio del lavoro a gruppi mi sono sentita un pesce fuor d’acqua, ascoltando i miei compagni di squadra pronunciare parole strane e termini in inglese, e realizzando all’improvviso di essere l’unica tra loro che avesse mai avuto a che fare con un adolescente!
Eppure ho trovato domande curiose, appassionate, di chi ha realmente voglia di mettersi in ascolto e in gioco. Tutti si sono messi veramente a disposizione di questo progetto, investendo molte energie, per reggere i ritmi serrati e per essere più precisi possibili: ognuno si è speso in prima persona per dare il proprio contributo, per condividere risorse, informazioni, contatti personali, per fare chiamate o mandare messaggi a perfetti sconosciuti e perfino a qualche influencer famoso.

È sicuramente difficile raccontare in poche righe un’esperienza così densa. Mi viene in mente la parola “contaminazione”, che forse rappresenta una buona sintesi… insieme a “divergenza” e “convergenza”, parole chiave della metodologia dell’hackathon, ma anche chiavi di lettura di quanto mi sono ritrovata a vivere.
Il mondo del profit e del non profit, almeno secondo il mio punto di vista, fanno ancora molta fatica a dialogare, hanno stili e modalità di lavoro differenti. Durante l’hackathon siamo riusciti a far incontrare le diversità: chi non aveva mai sentito parlare di cooperazione sociale o di adolescenti ha mostrato un reale interesse per il nostro mondo, senza retorica, al di là del doversi occupare della responsabilità sociale di impresa e noi, operatori sociali, ci siamo lasciati scuotere da un modo di lavorare sicuramente più “spregiudicato”, ma non per questo meno “etico”, che sa essere più efficace ed efficiente del nostro.

Ciascuno, con le proprie competenze e le proprie caratteristiche, ha saputo mettersi in ascolto, lasciarsi contaminare dall’altro, ma senza snaturare la propria identità, a disposizione di un unico obiettivo.
E credo che questo sia stato uno dei risultati più grandi di questa sfida.

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