di Anna Sironi, tirocinante in Casa Suraya per il Master in Relazioni d’aiuto in contesti di sviluppo e cooperazione nazionale ed interazionale, Università Cattolica del Sacro Cuore

Ho iniziato il mio tirocinio a Casa Suraya sette mesi fa e finalmente posso dire di aver realizzato un piccolo sogno, qualcosa in cui credo veramente e che ho creduto potesse contribuire a rispondere alla domanda letta in un bellissimo libro qualche tempo fa che mi ha accompagnata in questi mesi: Che cosa abbiamo fatto della straripante promessa di vita con la quale ogni essere viene al mondo?

Ho messo piede per la prima volta nel Centro di Accoglienza di via Salerio 51 ad agosto, durante l’esperienza dei Cantieri della Solidarietà, promossa da Caritas Ambrosiana. Lì l’entusiasmo dell’animazione andava al passo con alcune domande che mi ponevo, che mi interrogavano, che mi si presentavano davanti a quei volti sconosciuti, ma da cui io ero particolarmente attratta e incuriosita.E così a settembre il tirocinio ha preso il via, con il desiderio di imparare tanto, con l’inevitabile spaesamento dovuto dalla grandezza e dalla complessità del posto e con la promessa che avrei fatto di tutto perché anche io potessi restituire qualcosa “di nuovo” in questo universo… perché sì, Casa Suraya racchiude proprio tutto il mondo!
Ho pensato che potesse essere l’occasione giusta per lasciarmi condurre da quella domanda sopra citata, per provare a formulare una risposta, forse difficile da dare, ma bella da ri-cercare proprio all’interno di Casa Suraya, luogo abitato da così tanti volti, così tante storie, nomi, viaggi, culture, lingue, danze, musiche, profumi, sapori, paesi e colori. È vero, è un interrogativo tanto insolito, ma che profuma di incontro, relazione, rinascita e soprattutto che tende al Bello. E da lì l’intuizione, avevo forse trovato l’ingrediente e lo strumento giusto per il progetto che avevo in mente di realizzare: la Bellezza!
Ho sempre pensato che la Bellezza possa lasciare una scia positiva nella storia e che sia uno strumento accessibile e comprensibile per tutti, un linguaggio universale, che supera lingue, culture e tradizioni. E così ci ho provato e dopo un periodo di conoscenza, osservazione e scambio con gli ospiti e con gli operatori, ho inaugurato un laboratorio per le donne, in cui ci fosse la possibilità di fermarsi, di incontrarsi, di respirare una dimensione di gruppo, dando la possibilità di pensare e realizzare qualcosa di “bello” per loro e per il posto in cui ora abitano; per evadere, anche se per poco, dai soliti pensieri e dalla routine faticosa e monotona, regalando un assaggio di spensieratezza.
Volevo contribuire a restituire, in minima parte, un motore, uno slancio da cui poter ripartire culturalmente ed esistenzialmente, con la possibilità di raccontarsi e raccontare. Durante le lezioni del Master ho scoperto che toccare il tema della creatività è utile per riconoscere il potenziale presente in ogni singola persona, il gusto di mettere in atto le proprie capacità creativo-mentali, stimolando e promuovendo la cura del sé ed il gusto per la scoperta dell’io e della bellezza, non solo personale, ma anche del contesto abitato, per non lasciare l’ultima parola allo sconforto, all’attesa spesso infinita e al passato difficile e doloroso.

Questo mio piccolo “sogno” si è realizzato venerdì 25 marzo: al laboratorio hanno partecipato sei donne richiedenti asilo di Casa Suraya, provenienti dal Camerun, dall’Ucraina, dall’Armenia, dal Marocco, dall’India, dal Salvador. Tra loro c’era anche il figlio di una di esse che quel giorno non è potuto andare a scuola e accompagnando la mamma ha deciso di fermarsi con noi.
È stata una mattinata intensa, in cui sono state protagoniste le donne, e anche i loro sogni, i ricordi piacevoli passati, le emozioni in circolo, gli affetti più cari, la quotidianità vissuta.
Uno spazio accogliente tutto per loro e una sola consegna: dipingere pensando alla parola Bellezza.
Un po’ di musica di sottofondo, delle tele bianche, dei pennelli di diverse dimensioni, degli acquarelli e varie sfumature, una fetta di torta e un bicchiere di succo, una chiacchierata e un sorriso, contaminazioni di idee, dialogo e sguardi, prove di colori, condivisioni di sensazioni ed emozioni: ecco gli ingredienti delle tre ore trascorse insieme, nella semplicità di concedersi un momento piacevole, con il gusto di stare e mettersi in gioco.

Per aggiungere valore e un senso a quanto prodotto, è stato individuato un angolo di muro di Casa Suraya su cui appendere le tele e il mercoledì della settimana successiva, con chiodo e martello, il lavoro è stato completato: un angolo della Bellezza accessibile a tutti, alla portata di tutti, che racconta di donne, vite in movimento, in cerca di un futuro promettente. Ed è così che ho provato a rispondere a quella domanda iniziale, realizzando qualcosa in cui credevo veramente, provando a mettermi in gioco, unendo pensieri e azioni, sfruttando al meglio questo tempo e credendo fortemente che la Bellezza porta sempre i suoi frutti se cercata, mostrata e coltivata, anche e soprattutto nella vulnerabilità.