di Francesca Piras educatrice del Centro diurno Interculturale Come

Al Centro Diurno interculturale Come siamo volontarie e volontari, operatori sociali, insegnanti, educatrici ed educatori che a diverso titolo accompagnano le persone che passano e restano per un tempo più o meno lungo nel nostro servizio. Ci occupiamo di educazione linguistica, orientamento scolastico e orientamento lavorativo.

Accoglienza è la parola che più di tutte ci guida, che nel suo significato più proprio significa apertura: far entrare qualcuno nel proprio gruppo, nella propria casa. Le persone che arrivano qui di solito faticano a stare in percorsi classici di scolarizzazione. Hanno spesso visi stanchi, talvolta arrabbiati, altre volte nei loro occhi c’è una gran voglia di rimettersi in gioco, ma tutte in qualche modo hanno anche bisogno di riposare, di ripartire con lentezza, di andare piano, di trovare un proprio ritmo anche nell’apprendimento. E ancora prima le persone che incontriamo hanno bisogno di sentirsi accolte.

Qualche anno fa, un giorno è passata di qui Alima, una ragazza afgana di 27 anni, da sola in Italia, accolta inizialmente presso Casa Suraya e poi negli appartamenti SAI Milano.

Alima sorrideva tanto, parlava con poco italiano, ma quelle scarse parole le usava tutte. Era un vero fiume in piena. Partiva da una bassa scolarità e lo ripeteva di continuo: “A casa mia le donne non possono studiare, io qui voglio fare scuola”. Non raccontava nulla della sua storia personale, ma questo noi lo abbiamo visto tante volte: la scuola deve essere altro, deve chiedere poco sul passato e dare parole di futuro.

E Alima voleva futuro: il suo desiderio di scuola lo ripeteva talmente tante volte che spesso faceva fatica a seguire la lezione stessa. Alima è stata inizialmente inserita nel corso di alfabetizzazione di base, seguito da una volontaria alla quale si è legata tanto, in maniera sincera. E in questa nuova vicinanza, Alima ha imparato soprattutto a mettersi in ascolto, per cui abbiamo pensato che ci potesse essere un posto più adatto a lei.

Metissage è un percorso che unisce apprendimento della lingua, arte ed educazione alla cittadinanza, pensato e progettato per le donne migranti dei servizi d’accoglienza della Cooperativa Farsi Prossimo Onlus. Alima ha accettato la sfida ed è entrata a far parte di una classe di donne, diverse per età, provenienza geografica e livello di istruzione. Donne che hanno fatto viaggi difficili e importanti, con storie di vita che le hanno rese fragili, ma forti dei loro grandi obiettivi. Noi ci mettiamo a camminare insieme a loro per questo nuovo tratto di strada, ci facciamo contaminare, provando a raccogliere e condividere domande e racconti. Metissage rappresenta uno sguardo possibile sul mondo, e per noi è importante riuscire a dare alle donne parole per raccontarlo. E Alima qui ha finalmente iniziato a parlare di sé e della sua storia.

Abbiamo così scoperto che in Afghanistan Alima era una sarta, e in accordo con gli operatori del suo servizio di accoglienza, abbiamo deciso di segnalarla per il progetto Sartoria Migrante dell’organizzazione Connecting Cultures, agenzia di ricerca e produzione culturale. Sartoria migrante è un percorso di formazione e di lavoro collettivo, in cui collaborano designer italiani e artigiani migranti con diverse competenze. Alima è stata inserita nel progetto “Please, sit!” dell’artista Denise Bonapace, che ha portato alla realizzazione di 20 sedie, pezzi unici creati dal recupero di vecchie sedute attraverso tecniche sartoriali miste.

Grazie alle sue capacità il lavoro di Alima e degli altri artigiani le sedie sono è state esposte al Fuori salone di Milano e attualmente il progetto è inserito nell’ADI DESIGN INDEX 2020, prestigioso catalogo per il disegno industriale.

Oggi Alima, terminato il suo percorso nell’accoglienza, è in una nuova casa, in una nuova città. Ci ha ringraziato tante volte, ci chiama famiglia.

Ma in realtà siamo noi a dover dire grazie alle Alima che incontriamo, che sono tante e tutte diverse. Ogni volta arricchiscono questo luogo che è il nostro centro, e anche se non è la loro casa definitiva e non lo è nemmeno in senso stretto, possiamo dire che tutte le volte che accogliamo la loro storia, la nostra casa diventa un po’ più grande e insieme a loro si apre a camminare su nuove strade.

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