di Alice Lofoco educatrice rete appartamenti Housing sociale

Il nostro viaggio è iniziato quando andavo all’università.

La nostra fede religiosa non era ben vista, in Pakistan, eravamo circondati dall’odio e dalla gelosia della gente. Ma amavamo la nostra terra e per anni abbiamo cercato di fare di tutto per riuscire ad essere al sicuro senza lasciare la nostra casa. Poi è diventato tutto sempre più difficile e pericoloso e siamo stati costretti a partire.

Siamo arrivati in Azerbaijan. Qui non eravamo più perseguitati, ma abbiamo iniziato ad avere altri problemi, per questioni economiche, e poi per la legge sull’immigrazione, che non ci permetteva di rimanere in quel Paese: se ci avessero trovato, saremmo stati imprigionati e rimandati in Pakistan.

Siamo rimasti quasi 7 anni in Azerbaijan: a me è sembrato un tempo infinito, sono stati anni di buio, attesa, pazienza. Abbiamo chiesto aiuto in tanti luoghi, a tante persone, spesso invano. Ho visto morire mio padre, in quegli anni. E poi siamo stati presi e incarcerati in un centro di detenzione per immigrati.

Eravamo in carcere da un mese e mezzo, quando è accaduto un miracolo: la Chiesa di Baku, che ci aveva già aiutato e sostenuto in precedenza, è intervenuta in nostro soccorso e siamo stati liberati. Non ci sembrava vero, sapevamo che nessuno esce dai centri di detenzione in Azerbaijan. E poi ci è stata offerta la possibilità di partire per l’Italia grazie ai corridoi umanitari della Caritas, nonostante la pandemia e le limitazioni agli spostamenti.

Siamo arrivati a Milano ad aprile 2021, io, il mio fratellino, che oramai ha 25 anni, e mia mamma, che ricordando i nostri anni di buio non fa altro che ripeterci che nulla è impossibile a Dio. Abbiamo incontrato la Commissione Territoriale poche settimane dopo il nostro arrivo in Italia, e anche per questo siamo molto grati, perché sappiamo che normalmente i tempi di attesa per chi fa richiesta di asilo sono molto più lunghi.

Ora ci sentiamo davvero in pace e sereni. Fin dal primo giorno in cui siamo arrivati le famiglie che abitano intorno a noi ci hanno accolto e ci hanno offerto la sicurezza e il sostegno di cui avevamo bisogno. Siamo circondati da persone che si prendono cura di noi e di tutte le nostre necessità, nonostante comunicare sia quasi un’impresa impossibile, perché loro non parlano inglese e l’italiano per noi è ancora un mistero impenetrabile. Per questo si stanno impegnando, a turno, per insegnarci la lingua, così potremo presto capirci, parlare, condividere la quotidianità e i racconti delle nostre esperienze. E poi ci hanno resi parte del loro gruppo e della loro comunità e ci coinvolgono nelle attività dell’orto, del mercatino, della parrocchia.

Questo è quello che stavamo cercando da anni. Siamo stati costretti a partire, a scappare, a percorrere strade… ma finalmente siamo arrivati a casa.

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